Diffamazione: è sufficiente scaricare la e-mail

Diffamazione: è sufficiente scaricare la e-mail

  • Carlo De Monte

Ai fini dell’integrazione del reato di diffamazione a mezzo mail – ossia con invio a più destinatari – è sufficiente la mera conoscibilità della comunicazione, non essendo necessario che la mail sia stata effettivamente “aperta”, risultando invece indispensabile che sia stata scaricata dal sistema.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12511 depositata il 24 marzo 2023.


In particolare, la Suprema Corte confermava la decisione delle Corte d’Appello, secondo cui “'invio di e- mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata, quando plurimi ne siano i destinatari, in presenza della prova dell'effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato "scaricato" mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario”.


Nel richiamare altra autorevole decisione (Cass. Pen., Sez. V, 27/04/2012, n. 23624) in merito alla fattispecie di diffamazione, la Suprema Corte rilevava che l’invio di e-mail si distingue da altre condotte idonee ad integrare il reato di cui all’art. 595 c.p., quali la pubblicazione su siti web o social media di scritti, immagini o file vocali. Infatti, per tali condotte la mera diffusione online è sufficiente ad integrare il requisito della “comunicazione con più persone”.


Diversamente, nell'ipotesi dell'invio di messaggi di posta elettronica “il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell'inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione),ma è necessaria quantomeno la prova dell'effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un'operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server”.


In altri termini, sarà sufficiente provare che la mail sia stata "scaricata" (e cioè trasferita sul dispositivo del destinatario),“mentre l'effettiva lettura può presumersi, salvo prova contraria”.


La Suprema Corte rigettava quindi il motivo del ricorrente. Quest’ultimo si concentrava sull’assenza di prova della lettura del messaggio, che invece non risulta necessaria ad integrare la condotta di reato, "essendo sufficiente la conoscibilità potenziale del contenuto del messaggio giunto a destinazione, potendo ritenersi presunta la lettura, salvo prova contraria” che nel caso in esame non era stata fornita.

 

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