Le Sezioni Unite sulla distinzione tra crediti “inesistenti” e “non spettanti”

Le Sezioni Unite sulla distinzione tra crediti “inesistenti” e “non spettanti”

  • Francesco Maria Danzi

Con due sentenze “gemelle” le Sezioni Unite civili hanno risolto il contrasto interpretativo determinatosi tra le Sezioni semplici della Corte di Cassazione in materia di distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti.

La prima delle due pronunce (Cass. civ., Sez. Un., sent. 11 dicembre 2023, n. 34419) trae origine dal ricorso proposto avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale, a sua volta, aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente avverso un avviso di accertamento relativo agli anni d’imposta 2006 e 2007, concernente il recupero di un’agevolazione riconosciuta per l’acquisto di beni strumentali posta indebitamente in compensazione.

Con ordinanza n. 35536/2022, depositata in data 2 dicembre 2022, la Sezione Tributaria ha rimesso la causa al Primo Presidente per valutare l’opportunità dell’assegnazione della stessa alle Sezioni Unite civili, ravvisando un contrasto interpretativo interno alla Sezione Tributaria sulla distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e crediti d’imposta non spettanti, distinzione rilevante ai fini dell’individuazione del termine per l’esercizio della potestà accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Il Primo Presidente ha quindi disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

La seconda sentenza ha ad oggetto l’impugnazione di un atto di recupero con il quale l’Agenzia delle Entrate recuperava crediti d’imposta indebitamente compensati da una società per le annualità 2014, 2015, 2016 e 2017, per una somma complessiva di 266.877,79 Euro.

Le due ordinanze di rimessione, nel delineare lo specifico oggetto della questione, rilevano l’esistenza di un persistente contrasto interno alla Sezione Tributaria.

In particolare, secondo un primo più risalente e maggioritario orientamento tra le nozioni di “credito inesistente” e “credito non spettante” non vi sarebbe alcuna differenza. In particolare, secondo tale orientamento, “l’art. 27, comma 16, d.l. 185/2008, conv. l. 2/2009, non intende elevare l’“inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico giuridico),ma intende solo garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche talora complesse riguardanti l'investimento generatore del credito d'imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall'art. 43 d.P.R. 600/1973 per il comune avviso di accertamento” “dunque, ogniqualvolta il credito derivante dall'operato investimento non sussiste, per ciò solo deve ritenersi inesistente nel senso precisato dalla norma”1.

In dissenso a questa interpretazione si sono poste le sentenze “gemelle” n. 34443, 34444 e 34445 del 16/11/2021.

Le sentenze n. 34444 e n. 34445 del 2021, che maggiormente si sono diffuse sulla questione, dopo aver rilevato che la nozione di credito inesistente è stata positivamente dettata con “il “nuovo” art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997, come introdotto dall'art. 15 del d.lgs. n. 158/2015”, concludono nel senso di ritenere che il precedente orientamento “vada necessariamente superat[o] anche per effetto della citata novella, non tanto e non già perché quest'ultima sia direttamente applicabile alla fattispecie, ratíone temporis, bensì perché nella stessa definizione positiva di "credito inesistente" può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell'originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d'imposta indebitamente utilizzati”.

Le Sezioni Unite, da ultimo, ritengono che debba darsi prevalenza all’orientamento emerso successivamente, il quale è volto a valorizzare la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti.

Le pronunce in oggetto concludono affermando che “le due categorie, appaiono strutturalmente distinte e, sul piano logico, alternative: il credito è inesistente oppure esiste ma è non spettante.

Al fine della determinazione dell’inesistenza del credito si possono distinguere due ipotesi:

  • la fattispecie che fonda l’agevolazione o il credito d’imposta non è mai venuta ad esistenza ma,semplicemente, è stato solo realizzato un simulacro dei presupposti su cui si fonda la pretesa;
  • la fattispecie è carente di un elemento costitutivo; in tal caso la verifica richiede l’esegesi puntuale delle norme che istituiscono l’agevolazione, tenuto conto dei principi regolatori della specifica
    imposta.

La prima ipotesi è quella più radicale: in quel caso l’attività svolta è fittizia perché le attività richieste non sono mai state effettuate. Ad esempio, con riguardo al credito d’imposta per le spese sostenute per l’attività di ricerca e sviluppo di cui all’art. 1, commi 280 e ss, l. n. 296 del 2006, se gli studi non sono mai avvenuti.
Assimilabile a questa ipotesi poi, è il caso in cui il credito d’imposta, pur regolarmente sorto, competa, in realtà, ad un soggetto diverso, nonché quella in cui il credito si sia estinto per esser già stato utilizzato. Con riguardo alla seconda ipotesi, le Sezioni Unite procedono a un’indagine analitica al fine di individuare i parametri strutturali, di carattere generale, per ritenere esistente un credito di imposta, ossia quali siano gli elementi idonei ad assumere natura costitutiva e quali, invece, abbiano carattere accessorio o riguardino la sola efficacia della pretesa.
In particolare, tra gli elementi costitutivi rientrano:

  • L’istanza del contribuente;
  • La previsione di obblighi di facere e/o non facere;
  • L’indicazione di termini finali e di condizioni risolutive.

Non è invece idonea a incidere, ai fini della perfezione della fattispecie costitutiva, l’inosservanza di meri adempimenti procedurali o la previsione di soglie o limiti di valore.
Sotto il primo profilo, vengono in rilievo adempimenti di carattere strumentale o accessorio, suscettibili di connotare l’utilizzo del credito ed incidenti, in ipotesi, sull’attività di controllo dell’Ufficio, ma non anche, se carenti, di inficiarne l’esistenza.

L’esistenza di limiti e soglie di valore postula, invece, l’esistenza del credito nella sua integrità: questo, semplicemente, non è utilizzabile per l’intero, restando l’operazione, per la parte eccedente, priva di efficacia nei confronti dell’erario.

Ancora, accanto alle carenze sul piano strettamente fenomenico e a quelle sui presupposti costitutivi del singolo credito d’imposta, rileva, come elemento costitutivo strutturale autonomo e di portata generale, un elemento “procedurale” o “percettivo” di carattere obbiettivo, la cui mancanza degrada la fattispecie. Non si tratta, invero, di un elemento che si aggiunge, in funzione delimitativa, alla definizione di credito inesistente ma partecipa alla costituzione della stessa nozione di credito inesistente.

L’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 è chiaro sul punto dove precisa che il credito è inesistente quando manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo «e» tale inesistenza non sia riscontrabile con controlli cd. automatizzati.

L’uso della congiunzione «e» rivela la necessaria contitolarità dei due requisiti - quello strutturale interno correlato ai singoli crediti e quello strutturale esterno di portata generale. Il corollario è che, in assenza di uno dei due requisiti, il credito, ai fini qui in rilievo, non può qualificarsi come inesistente: non importa che il credito sia carente di elementi costitutivi o sia “non reale” se tale inesistenza è agevolmente rilevabile, restando la vicenda, in tale ipotesi, soggetta al regime giuridico ordinario e meno afflittivo.

Va sottolineato, sul punto, che la diversa prospettiva unitaria e sistematica è stata recentemente fatta propria anche dalla Terza Sezioni penale di questa Corte, che, con la sentenza n. 7615 del 3 marzo 2022, ha affermato che la definizione di credito inesistente deve essere tratta, anche ai fini penali, dall'art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997, come novellato nel 2015, sicché devono ricorrere entrambi i requisiti ivi previsti per considerare il credito inesistente ossia:

  • deve mancare il presupposto costitutivo;
  • l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria.

Se manca uno di tali requisiti, il credito deve ritenersi non spettante.

 

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1  Ex multis Cass, n. 31859 del 5 novembre 2021

 

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