La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere richiesta per la prima volta dinnanzi al giudice di legittimità

La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere richiesta per la prima volta dinnanzi al giudice di legittimità

  • Francesca Peverini

Con la sentenza n. 23954 del 2023, la Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione ha affermato che la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere richiesta per la prima volta dinnanzi al giudice di legittimità.

Nel caso di specie al ricorrente venivano contestati tre reati: (i) l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate; (ii) la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte; (iii) l’omessa dichiarazione.

Essendo i primi due delitti puniti con una pena massima pari o inferiore a quattro anni di reclusione e quindi rientranti nella categoria di reati per i quali l’articolo 168-bis c.p. consentiva di richiedere la messa alla prova, l’imputato aveva richiesto una messa alla prova “parziale”. Il giudice di prime cure, tuttavia, rigettava tale richiesta. L’imputato aveva pertanto presentato ricorso in appello affermando come lo stesso avrebbe dovuto essere ammesso al beneficio della sospensione e messa alla prova di cui all'art. 168-bis c.p. limitatamente ai reati per i quali la messa alla prova era concedibile, non sussistendo ragioni ostative né di ordine letterale né di ordine sistematico (la richiesta era invero stata formulata tempestivamente, l'offerta risarcitoria era congrua ed adeguata e lo svolgimento del programma individuato dall'U.E.P.E. avrebbe con certezza consentito la piena e totale risocializzazione dell'appellante).

Sul punto, tuttavia, la Corte di Appello condivideva l'ordinanza del Tribunale, uniformandosi pertanto al principio secondo cui “è inammissibile l'accesso al beneficio nel caso di procedimenti cumulativi aventi ad oggetto anche reati diversi da quelli previsti dall'art. 168-bis c.p., in quanto la definizione parziale è in contrasto con la finalità deflattiva dell'istituto e con la prognosi positiva di risocializzazione che ne costituisce la ragione fondante, rispetto alla quale assume valenza ostativa la commissione dei più gravi e connessi reati per i quali la causa estintiva non può operare”.

Veniva pertanto presentato ricorso avanti alla Corte di Cassazione.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso condividendo quanto affermato dal giudice di secondo grado, sulla base delle seguenti argomentazioni: (i) la ragione giustificatrice dell'istituto va individuata nel favorire la risocializzazione del condannato, pertanto il procedimento di recupero del reo non può essere parziale; (ii) pur essendo oggi in astratto ammissibile la sospensione del processo con messa alla prova anche per il delitto di cui all'art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000 - a seguito della c.d. riforma Cartabia (D.Igs. n. 150/2022) - deve tuttavia rilevarsi non solo che nessuna istanza in tal senso era stata avanzata dalla difesa del ricorrente alla Corte di Cassazione, ma che, quand'anche fosse stata formalizzata tale richiesta, in sede di legittimità avrebbe trovato applicazione il principio, già affermato dalla Cassazione, secondo cui nel giudizio di impugnazione davanti alla Corte di legittimità, l'imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all'art. 168-bis cod. pen., perché il beneficio dell'estinzione del reato, connesso all'esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un "iter" processuale alternativo alla celebrazione del giudizio. La Corte pertanto rigettava il ricorso.

 

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