Con sentenza n. 16748 depositata il 20 aprile 2023, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato una sentenza della Corte d’Appello di Messina, con la quale un imprenditore era stato condannato per il reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74/2000 per omesso versamento di IVA pari ad un ammontare di € 721.409.
Avverso tale sentenza il predetto imprenditore aveva presentato ricorso per Cassazione sostenuto da quattro motivi.
Nello specifico, veniva censurata l’omessa considerazione da parte delle Corti territoriali di elementi probatori che, secondo la difesa, avrebbero testimoniato l’esistenza di uno stato di crisi finanziaria dell’impresa tale da escludere, quale causa di forza maggiore, l’elemento soggettivo tipico della fattispecie criminosa contestata.
Inoltre, veniva censurato il fatto che fosse stata disposta da parte del Collegio d’Appello confisca, anche per equivalente, della somma di € 721.409, nonostante fosse stato preventivamente assunto da parte dell’imputato l’impegno al versamento rateizzato del debito tributario.
Ebbene, entrambi i motivi qui riportati sono stati considerati manifestamente infondati dalla Suprema Corte.
Quanto al primo, infatti, la Cassazione ha dapprima ricordato che la fattispecie di omesso versamento di IVA richiede il dolo generico - anche configurabile nella forma del dolo eventuale -, per poi specificare che l’attribuzione dell’inadempimento dell’obbligo tributario ad una causa di forza maggiore può avvenire esclusivamente quando quest’ultima “derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono dal suo dominio finalistico”[1].
Inoltre, la Corte ha precisato che risulta irrilevante la crisi finanziaria dell’imprenditore - prospettata dalla difesa a fondamento del motivo di cui trattasi -, salvo che egli dimostri di aver adottato tutte le iniziative necessarie per adempiere al pagamento del debito fiscale, attingendo eventualmente al proprio patrimonio personale.
È stato quindi confermato il principio secondo il quale, ai fini dell’esclusione dell’elemento soggettivo relativo al reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74/2000, i comportamenti rilevanti sono esclusivamente quelli volti ad escludere l’insorgenza dell’obbligazione tributaria.
Comportamenti tra i quali non rientra la rateizzazione del debito tributario.
Quanto al secondo motivo, invece, la Corte ha evidenziato come il fatto che la confisca possa essere adottata anche a fronte dell’impegno del pagamento rateizzato da parte del contribuente, non significa che “il giudice che dispone la confisca in presenza di un impegno da parte del contribuente a versare la somma dovuta al fisco abbia l’obbligo di sottoporre l’efficacia del vincolo alla condizione sospensiva del mancato adempimento da parte del privato dell’obbligo assunto nei confronti dell’erario, con una esplicita previsione in tal senso, essendo questo un effetto automaticamente già discendente dal tenore della norma citata”.
Nel caso di specie, ad ogni modo, la Corte d’Appello ha correttamente disposto la confisca per equivalente senza sospenderne l’efficacia a fronte della rateizzazione del pagamento da parte dell’imputato, considerando inoltre che, al momento della decisione, non vi era stato ancora alcun versamento delle somme concordate, nonostante l’impegno alla rateizzazione del debito tributario.
Ritenuti inammissibili anche gli altri motivi avanzati dal soggetto ricorrente, la Suprema Corte ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso.
[1] Cass. pen., Sez. III, n. 8352/2015
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