Con sentenza n. 31017 depositata il 18 luglio 2023, la sezione III penale della Corte di Cassazione ha elaborato un interessante principio attinente una casistica molto diffusa, relativamente alla quale non si sono registrate numerose sentenze di legittimità.
Nello specifico, la Suprema Corte con la sentenza in esame ha affermato che i membri del Consiglio di Amministrazione, i quali non hanno sottoscritto la dichiarazione fraudolenta con false fatture, rispondono in concorso del reato con l’amministratore che l’ha firmata, esclusivamente laddove avessero avuto conoscenza dell’illecito e non si fossero adoperati per impedire l’indicazione dei falsi documenti o la sua presentazione.
Nel caso di specie, veniva contestato ad una S.r.l. l’utilizzo nella propria dichiarazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, con conseguente violazione dell’art. 2 d.lgs. 74/2000 contestata all’amministratore che aveva sottoscritto la relativa dichiarazione, ma anche agli altri due membri del board, dotati di differenti poteri sociali disgiunti.
Condannati nei gradi di merito, i due amministratori presentavano ricorso in Cassazione lamentando, tra l’altro, che la sentenza di condanna si fosse limitata a prendere in considerazione solo il profilo formale della carica dagli stessi ricoperta, senza valutare la loro effettiva estraneità rispetto alla vicenda oggetto di attenzione e, quindi, alla sottoscrizione della dichiarazione fraudolenta.
Ebbene, la Suprema Corte ha compiuto un ragionamento ai sensi del quale ha ritenuto opportuno avvalersi dell’orientamento consolidato espresso con riferimento ai reati di bancarotta.
Ai sensi di tale orientamento, come noto, la responsabilità degli amministratori sprovvisti di delega in caso di omesso impedimento dell’evento, è configurabile solo ove sia data contestualmente prova dell’effettiva conoscenza da parte degli stessi dei fatti pregiudizievoli – o quantomeno dei c.d. “segnali di allarme” – nonché della volontà degli stessi di non attivarsi per scongiurare detto evento.
Di conseguenza, anche in relazione a vicende attinenti reati tributari, la Cassazione individua la responsabilità concorsuale degli amministratori di una società, i quali non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta, solo ove siano stati effettivamente a conoscenza dell’inserimento dei documenti fraudolenti in contabilità e, ciononostante, non si siano attivati per impedire la loro indicazione in dichiarazione o la presentazione della stessa.
Al fine di configurare questo tipo di responsabilità in capo a tali amministratori, quindi, non è sufficiente dare evidenza in maniera generica del coinvolgimento degli stessi nelle attività gestionali della società, ma risulta dirimente dare prova dell’esistenza di elementi idonei ad accertare l’effettiva partecipazione degli stessi amministratori all’azione fraudolenta, sebbene non avessero sottoscritto la dichiarazione.
Riconosciuto, quindi, che la sentenza impugnata aveva fornito motivazioni in chiave meramente presuntiva nella determinazione del coinvolgimento dei due amministratori non firmatari, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso annullando la sentenza con rinvio per nuovo giudizio.
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