Attenuazione del doppio binario penale – amministrativo: la Cassazione si pronuncia nuovamente sul principio del ne bis in idem

Attenuazione del doppio binario penale – amministrativo: la Cassazione si pronuncia nuovamente sul principio del ne bis in idem

  • Francesca Peverini

La sentenza in esame (Cass. pen., sez. III, n. 5899/2023) trae origine a seguito di un ricorso alla Corte di Cassazione presentato dalla difesa di un promotore finanziario – destinatario già di una sanzione di carattere amministrativo da parte dell’Agenzia delle Entrate – avverso una pronuncia della Corte di appello di Trieste, con la quale veniva confermata la condanna alla pena di un anno e due mesi di reclusione (oltre pene accessorie) per il reato di cui all’art. 81, cpv c.p. e art. 5 d.lgs. n. 74/2000.
Ebbene, il ricorrente adendo alla Suprema Corte, lamentava la violazione dell’art. 649 c.p.p. e dell’art. 4, Prot. N. 7 della CEDU “sotto il profilo della mancanza di motivazione in ordine alla proporzionalità complessiva della sanzioni irrogate”.
Con tale motivo, la Corte di Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi ancora una volta sul tema del rispetto del principio del ne bis in idem nell’ambito della coesistenza di un procedimento penale e di un procedimento amministrativo che traggono origine dalla stessa condotta commessa dal reo/contribuente.
La Suprema Corte, prima di entrare in media res compie una serie di valutazioni preliminari.
 
In primis, viene riconosciuto come l'omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette costituisca una condotta che integra “due diversi fatti, autonomamente e separatamente sanzionati sia in sede penale che in sede amministrativa”.
Tuttavia, questa circostanza – ravvisa sempre la Suprema Corte – “non esclude che, ai fini del divieto del "bis in idem" di cui all'articolo 4, Prot. n. 7, CEDU, il reato oggi addebitato possa essere considerato, sul piano sostanziale/naturalistico, come "stesso fatto" già sanzionato a livello amministrativo”.
Infatti, con riferimento al caso di specie, viene espressamente riconosciuto come l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi “costituisce un unico fatto materiale che viola due disposizioni tra loro diversamente sanzionate, allo stesso modo in cui un’unica condotta può integrare due reati diversi in concorso formale tra loro”.
 
Compiuta questa doverosa premessa, nella sentenza in analisi viene sapientemente ricordato come, secondo la giurisprudenza della Corte Edu, il divieto del bis in idem sancito dall’articolo 4, Prot. n.7, Convenzione Edu, presuppone l’esistenza di una sentenza definitiva di condanna o di assoluzione. Ciò comporta, dunque, che il diritto di non essere punito due volte si estende a quello di non essere perseguito o giudicato due volte. Inoltre, viene sottolineato come per la violazione del divieto è necessaria la discontinuità dei due procedimenti.
Tale discontinuità, tuttavia, non esiste quando tra i due procedimenti vi è una stretta connessione sostanziale e temporale.
 
Tanto premesso, nel caso di specie la questione della connessione sostanziale e temporale dei procedimenti non è stata messa in discussione dal ricorrente, con conseguente insussistenza della violazione del divieto del bis in idem.
 
Il diverso tema su cui la Suprema Corte si è invece concentrata, è quello relativo alla proporzionalità delle sanzioni rispetto al quale ha affermato come nel caso di specie “la sanzione amministrativa minacciata e concretamente applicata al contribuente ha un'evidente componente dissuasiva (in sede di previsione astratta) e afflittiva (in sede concretamente applicativa),non essendo finalizzata al solo risarcimento/indennizzo del danno cagionato dal contribuente. […] Si tratta di sanzione che, alla luce dei criteri indicati dalla Corte EDU (cd. Engels criteria),ha natura sostanzialmente penale”.
Detto ciò, la Corte di Cassazione per determinare la proporzionalità o meno del trattamento sanzionatorio per il medesimo fatto storico – alla luce dell’applicazione sia della sanzione amministrativa che della sanzione penale - ha ritenuto necessario utilizzare come criterio l’art. 135 c.p., applicando la regola di ragguaglio ivi prevista che a parere della Corte “fornisce l’unità di misura della sanzione (sostanzialmente e formalmente) penale applicabile per il medesimo fatto storico”.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “il giudice penale non può modificare la sanzione amministrativa irrevocabilmente e separatamente già irrogata, ma può e deve tenerne conto ai fini della applicazione della sanzione penale”. A tal fine, per meglio adeguare la sanzione al fatto può tenere conto di fattori quali: le circostanze attenuanti generiche di cui all'articolo 62-bis c.p., la sussistenza di reati-satellite, le condizioni economiche del reo.
 
Escluso, dunque, che nel caso di specie la condanna del ricorrente abbia infranto il divieto di ne bis in idem di matrice convenzionale, “la Corte di appello non ha però fornito risposta al motivo con cui è stata dedotta la sproporzione della sanzione complessivamente applicata, non avendo tenuto conto, nella commisurazione della pena, della sanzione amministrativa irrogata all'imputato per il medesimo fatto”, determinando in tal modo l’annullamento da parte della Corte della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio.

 

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