L’organismo di vigilanza nel modello 231: la decisione della Corte di Appello di Venezia su Banca Popolare di Vicenza

L’organismo di vigilanza nel modello 231: la decisione della Corte di Appello di Venezia su Banca Popolare di Vicenza

  • Carlo De Monte

Con sentenza n. 3348 del 4 gennaio 2023, la Corte di appello di Venezia si è espressa in merito ad una vicenda che vedeva coinvolta la Banca Popolare di Vicenza, relativamente ai profili di responsabilità dell’istituto di credito ai sensi del d.lgs. 231/2001.

In primo grado, il giudizio si era concluso con una severa condanna per l’istituto di credito, fondata sul comportamento dei membri dell’Organismo di Vigilanza, la cui inadeguatezza – in termini di funzionamento e composizione – rendeva, secondo il Tribunale, inidoneo il relativo modello organizzativo.


Al centro della decisione della Corte di Appello, confermativa della pronuncia del giudice di primo grado, risiede ancora il tema dell’Organismo di Vigilanza, soggetto chiave nel sistema delineato dalla normativa con il d.lgs. 231/2001.
Dall’istruttoria dibattimentale, emerge, secondo il giudice di secondo grado, “l’immagine di una “osmosi” di fatto pressoché completa tra l’odv e i vertici aziendali, tanto da rendere del tutto impalpabili margini di autonomia ed effettività dell’attività di controllo svolta da tale organismo”.


In tema di effettività, un modello organizzativo adeguato deve adottare e attuare contromisure di “prevenzione” idonee ed efficaci, le quali non solo devono rispondere ai parametri astrattamente delineati dalla normativa, ma devono poi essere adeguate alla concreta situazione di riferimento.


Nella vicenda in esame, nello specifico, si erano configurati i delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza.
Il modello adottato dalla Banca Popolare di Vicenza, come sottolinea la Corte d’Appello, conteneva invece “indicazioni di portata assolutamente generale per prevenire la commissione dei delitti in questione in  larga parte risolvendosi nella previsione della adozione di un’organizzazione interna basata sui criteri di ripartizione di competenze e segregazione funzionale in ordine a specifiche attività, nonché di cura di adempimenti formali, ovvero nell’impartire divieti attinenti a profili marginali rispetto all’esigenza di prevenire i reati in esame”.
Basti pensare, come suggerito dal dispositivo della pronuncia di cui trattasi in questa sede, alle condotte di aggiotaggio contestate, ove l’adeguatezza del modello, in relazione a un “reato di comunicazione”, sarebbe dovuta essere corroborata, quantomeno, dall’attribuzione all’OdV di poteri di verifica preventiva sulla fondatezza delle notizie destinate a essere diffuse al mercato.


Invero, tali comunicazioni non venivano neppure inviate all’OdV a fini informativi, così come non erano neppure previsti controlli a sorpresa sulle attività sensibili. Ancora, il modello della Banca Popolare di Vicenza – secondo la prospettazione del giudice del gravame – prevedeva un Organismo di Vigilanza del tutto privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria.
Formalmente la direzione dell’OdV era affidata, al responsabile pro tempore della Direzione internal audit, affiancato da due soggetti esterni estranei al rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo Banca Popolare di Vicenza.

 

Si consideri come, a dire il vero, sia stato individuato che tutti i soggetti erano privi della necessaria indipendenza.
 Il Presidente, infatti, dipendeva gerarchicamente dal Direttore Generale e funzionalmente dal Consiglio di Amministrazione, ossia proprio dai “poteri” che avrebbe dovuto controllare. I due soggetti esterni, invece, avevano ottenuto retribuzioni da società riconducibili alla banca.
Tale patologico legame tra OdV e vertici aziendali, secondo la ricostruzione effettuata dalla Corte, si concretizzava nello svolgimento da parte del Direttore Generale, durante le riunioni del Consiglio di Amministrazione, della relazione avente ad oggetto le attività svolte dall’OdV.


Difatti, conclude la Corte di Appello, “la commissione dei reati non ha affatto richiesto alcuna condotta elusiva e fraudolenta del modello in esame: molto più semplicemente, detto modello non ha rappresentato ostacolo di sorta per la consumazione delle condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (in particolare, per quanto concerne le comunicazioni al mercato ed alla vigilanza),tanto che gli autori delle condotte delittuose non si sono minimamente dovuti preoccupare di “aggirarlo” e, questo, proprio perché il modello in questione costituiva un presidio non solo del tutto formale ma anche radicalmente “fuori fuoco” rispetto alle condotte sub iudice”.

 

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