Messa alla prova per l'ente? Le sezioni unite mettono la parola fine alla controversa questione

Messa alla prova per l'ente? Le sezioni unite mettono la parola fine alla controversa questione

  • Francesca Peverini

Con la sentenza n. 14840del 2023 le Sezioni Unite della Cassazione ha escluso definitivamente la possibilità per l’ente di essere ammesso alla messa alla prova, ai sensi dell’art. 168 – bis c.p., nell’ambito del processo instaurato a carico del medesimo per l’accertamento della responsabilità amministrativa dipendente da reato ex d.lgs. n. 231 del 2001.
 
La questione sull’ammissibilità o meno dell’ente all’istituto della messa alla prova ha infatti fatto registrare nella giurisprudenza di merito decisioni contrastanti, contrapponendosi ad un gruppo di ordinanze che negavano l’ammissione dell’ente alla messa alla prova, ad altre pronunce, invece favorevoli (cfr. ad es. Trib. Modena, 19/10/2020; Trib. Bari, 22/06/2022),tra cui quella oggetto del ricorso del Tribunale di Trento sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite.
 
La Suprema Corte ha ripercorso le argomentazioni a sostegno della non estendibilità della messa alla prova all’ente elaborate – ad oggi – dalla giurisprudenza.
Sul punto, infatti, è stato sottolineato a più riprese come: (i) la sospensione del procedimento con messa alla prova si manifesta, dal punto di vista afflittivo, attraverso lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, rientrante a pieno titolo nella categoria delle sanzioni penali, ma, alla luce dell’assenza di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui all'art. 168-bis c.p. alla categoria degli enti, l'istituto in esame, in ossequio al principio della riserva di legge, non risulterebbe applicabile ai casi non espressamente previsti; (ii) la lacuna normativa conseguente al mancato coordinamento della disciplina sostanziale della messa alla prova con il D.Lgs. n. 231 del 2001 sarebbe frutto di una precisa scelta da parte del legislatore; (iii) pur volendo ritenere che l'ammissione alla messa alla prova dell'ente si risolva in un'interpretazione analogica in bonam partem, astrattamente consentita, tale estensione sarebbe, comunque, inibita dal fatto che il percorso esegetico astrattamente concepito lascerebbe in concreto ampi margini di incertezza operativa.
 
D’altro canto, la Cassazione ha ripercorso – all’interno della sentenza oggetto di analisi – anche quelle argomentazioni elaborate dalla giurisprudenza di merito a favore della applicabilità dell’istituto della messa alla prova all’ente, alla luce delle quali è stato affermato che (i) l’interpretazione “estensiva” ovvero “analogica” dell’art. 168 – bis c.p. sia pienamente compatibile con il sistema delineato dal d.lgs. n. 231 del 2001 laddove la società si sia dotata, prima del fatto, di un modello organizzativo valutato idoneo dal giudice “poiché solo in questo caso sarebbe possibile formulare un giudizio positivo in ordine alla futura rieducazione dell'ente, che dimostrerebbe così di essere stato diligente e di aver adottato un modello ritagliato sulle proprie esigenze specifiche per quanto valutato non idoneo dal giudice”; (ii) il difetto di coordinamento tra la disciplina sostanziale della messa alla prova e quella di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001 non è espressione della scelta del legislatore di escludere gli enti dall'ambito soggettivo di applicazione dell'istituto in questione, infatti, “anche il sistema di responsabilità da reato degli enti risponderebbe a una logica di prevenzione del crimine da perseguire attraverso la rieducazione dell'ente, ossia la prevenzione speciale in chiave rieducativa, declinandosi essa in maniera peculiare”; (iii)  l'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella dell'autore del reato non impedirebbe all'ente di accedere al procedimento speciale della messa alla prova, atteso che l'esito positivo della prova estinguerebbe l'illecito amministrativo; (iv) l'incertezza applicativa della messa alla prova all'ente non sarebbe ostativa, traducendosi nella fisiologica sfera di discrezionalità nell'ambito della quale si muove il giudice in sede di applicazione analogica della legge e che la Costituzione limita solo quando possano derivarne effetti negativi, non sussistenti in tale ipotesi.
 
Nonostante i tentativi di apertura da parte della giurisprudenza di merito, la Cassazione è stata granitica nel negare la possibilità di applicabilità della messa alla prova all’ente.
Il ragionamento compiuto dagli ermellini risulta particolarmente lineare sul punto: “Se la responsabilità amministrativa da reato riguardante gli enti rientra in un genus diverso da quello penale (tertium genus) e la messa alla prova deve ricondursi ad un "trattamento sanzionatorio" penale deve ritenersi che l'istituto della messa alla prova non può essere applicata agli enti, a ciò ostando, innanzitutto, il principio della riserva di legge di cui all'art. 25, comma 2, della Costituzione”.
 
Per mera completezza espositiva la Suprema Corte ha ritenuto inoltre fondate le ulteriori deduzioni svolte dal Procuratore generale “secondo cui la disciplina della messa alla prova ex art. 168-bis c.p., è disegnata e modulata specificamente sull'imputato persona fisica e sui reati allo stesso astrattamente riferibili, caratteristiche queste che la rendono insuscettibile di estensione all'ente quanto alla responsabilità amministrativa di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001”.

 

 

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