Reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto: le modifiche al D.Lgs. 74/2000 in pillole

Reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto: le modifiche al D.Lgs. 74/2000 in pillole

  • Federico Boncompagni

Il 27 ottobre 2019 è stato pubblicato in Gazzetta il d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, contenente le rilevanti modifiche apportate dall’art. 39 alla disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto di cui al d.lgs. 74/2000 (in vigore dalla data di pubblicazione della legge di conversione).

1. Inasprimento delle cornici edittali.

Un primo ordine di interventi ha riguardato l’innalzamento delle cornici edittali di alcune fattispecie:

art. 2 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”): la precedente cornice “da un anno e sei mesi a sei anni” è stata sostituita dalla più gravosa “da quattro a otto anni”; è stata, invece, mantenuta la precedente cornice edittale per la sola ipotesi in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi indicati in dichiarazione sia inferiore a 100.000 euro (tale soglia quantitativa – come vedremo nel prosieguo – è stata assunta dal legislatore non solo per parametrare la cornice edittale applicabile ma anche quale soglia per l’applicazione della confisca c.d. “allargata” di cui all’art. 240-bis c.p.);

art. 3 (“Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”): la precedente cornice edittale “da un anno e sei mesi a sei anni” è stata innalzata “da 3 a 8 anni”;

art. 4 (“Dichiarazione infedele”): la cornice edittale “da uno a tre anni” è stata incrementata “da due a cinque anni”;

art. 5 (“Omessa dichiarazione”, anche del sostituto di imposta ai sensi del comma 1-bis): si è passati alla reclusione “da due a sei anni” (in luogo della precedente cornice da un anno e sei mesi a quattro anni);

art. 8 (“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”): in modo del tutto analogo alla fattispecie di cui all’art. 2, la pena della reclusione “da un anno e sei mesi a sei anni” è stata mantenuta per la sola ipotesi in cui “l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta” sia inferiore a euro 100.000; ove superiore, opera invece la nuova cornice edittale che va da un minimo di 4 a un massimo di 8 anni;

art. 10 (“Occultamento o distruzione di documenti contabili”): dalla cornice edittale da “un anno e sei mesi a sei anni” si passa a “da 3 a 7 anni” di reclusione;

non sono state, invece, innalzate le pene per i reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis e 10-ter.

L’innalzamento delle cornici edittali ha conseguenze estremamente rilevanti tanto nella fase di indagine quanto di esecuzione della pena. Per quanto concerne le indagini, a seguito di tali modifiche potranno essere disposte intercettazioni anche per le fattispecie di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione. In merito all’espiazione delle pene, l’intervenuto innalzamento delle cornici edittali renderà di fatto più difficoltoso l’accesso alle misure alternative alla pena detentiva, quali l’affidamento in prova ai servizi sociali.

2. L’abbassamento delle soglie di punibilità.

Un secondo ordine di interventi ha riguardato l’abbassamento delle soglie di punibilità:

art. 4 (“Dichiarazione infedele”): la soglia relativa all’imposta evasa è stata abbassata a centomila euro (da centocinquantamila) mentre la soglia relativa agli elementi attivi sottratti all’imposizione è stata ridotta a due milioni (da tre); è stato, invece, abrogato il comma 1-ter, il quale escludeva la punibilità qualora la falsità dipendesse da valutazioni che, considerate singolarmente, differivano in misura inferiore al 10% rispetto a quelle corrette;

art. 10-bis (“Omesso versamento di ritenute dovute o certificate”): la soglia di punibilità è stata abbassata a centomila euro di imposte non versate (da centocinquantamila);

art. 10-ter (“Omesso versamento di IVA”): la soglia di punibilità è stata ridotta a centocinquantamila euro di imposte non versate (da duecentocinquantamila).

3. La confisca “allargata”.

Il decreto fiscale ha poi introdotto l’art. 12-ter, il quale prevede l’applicabilità della cosiddetta confisca “allargata” di cui all’art. 240-bis a tutte le fattispecie delittuose previste dal d.lgs. 74/2000 (ad eccezione dei reati di omesso versamento) purché ricorrano le seguenti condizioni:

a) l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 2;
b) l’imposta evasa è superiore a euro centomila nel caso dei delitti previsti dagli articoli 3 e 5, comma 1;
c) l’ammontare delle ritenute non versate è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 5, comma 1-bis;
d) l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 8;
e) l’indebita compensazione ha ad oggetto crediti non spettanti o inesistenti superiori a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 10-quater;
f) l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 11, comma 1;
g) l’ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo11, comma 2;
h) è pronunciata condanna o applicazione di pena per i delitti previsti dagli articoli 4 (si ricorda che la soglia di punibilità è stata fissata in centomila euro di imposta evasa n.d.r.) e 10 (il quale punisce l’occultamento o la distruzione di documenti contabili n.d.r.).

Tale forma di confisca, introdotta originariamente come forma di contrasto alla criminalità organizzata, è particolarmente insidiosa. Difatti, pur presupponendo una sentenza di condanna o di “patteggiamento” (a differenza della confisca di prevenzione),permette non solo di “colpire” il profitto o il prezzo del reato (come previsto dall’art. 12-bis) ma sottrae dalla disponibilità dell’evasore tutti quei beni, denaro o altra utilità “di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito”.

Il legislatore ha, pertanto, esteso tale forma di confisca ai casi di condanna o patteggiamento alla maggior parte dei reati tributari, ponendo quale ulteriore presupposto il superamento di una soglia di centomila euro individuata secondo un criterio alquanto discutibile. Difatti, se da un lato per i reati di cui agli artt. 2 e 8 la soglia di centomila euro fa riferimento agli elementi passivi fittizi indicati in dichiarazione e all’importo non rispondente al vero indicato in fattura (soglie che hanno anche rilevanza ai fini della individuazione della cornice edittale applicabile),nelle altre fattispecie i centomila euro sono riferiti essenzialmente alle imposte dovute o addirittura, in caso di sottrazione fraudolenta ai sensi dell’art. 11, alle imposte, interessi e sanzioni dovute all’erario. Sembra pertanto non esserci alcuna coerenza – se non quella meramente letterale - nella previsione di tale soglia.

4. D.lgs. n. 231/2001. La dichiarazione fraudolenta ex art. 2 nuovo reato presupposto.

Si segnala, infine, che la riforma in commento, in ottemperanza alla Direttiva PIF 2017/1371, la quale richiedeva agli Stati membri di prevedere una responsabilità giuridica degli Enti in caso di commissione di “reati gravi contro il sistema comune dell’IVA”, ha introdotto nel d.lgs. 231/2001 l’art. 25-quinquiesdecies.
Tale disposizione rende l’art. 2 d.lgs. 74/2000 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”) reato presupposto della responsabilità amministrativa da reato dell’Ente ai sensi del d.lgs. n. 231/2001. In caso di commissione dell’illecito amministrativo, all’Ente è applicata la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.
Si ricorda che la Direttiva PIF imponeva l’introduzione di una forma di responsabilità degli enti per le sole gravi frodi IVA, da intendersi come frodi transfrontaliere che abbiano arrecato un danno agli interessi finanziari dell’UE pari ad almeno 10 milioni di euro.
Il legislatore italiano ha recepito tale direttiva limitandosi ad introdurre quale unica fattispecie presupposto della responsabilità dell’Ente l’art. 2 (fattispecie sicuramente di maggior rilievo per le frodi IVA transnazionali ma non necessariamente esclusiva).
Allo stesso tempo, in caso di commissione del reato presupposto di cui all’art. 2, si è inteso sanzionare l’Ente anche qualora la frode non presenti il carattere della transnazionalità e sia di modesta entità.