La Corte di Cassazione ha stabilito, nella Sentenzan. 43255 emessa il 24 ottobre 2023, che i margini previsti dal sistema giuridico penale per consentire al pubblico ministero di modificare l'accusa, attraverso la contestazione di un'aggravante, possono annullare l'impatto dei cambiamenti nelle condizioni di procedibilità introdotti dalla riforma del processo penale. Questo principio è stato applicato nell’abito del procedimento in cui la Procura di Napoli Nord ha presentato un ricorso contro la decisione che aveva stabilito di non doversi procedere contro una persona accusata di furto. Per il reato di furto, il nuovo decreto legislativo n. 150 del 2022 ha introdotto la presentazione della querela quale condizione di procedibilità, ma i giudici di primo grado avevano deciso di prosciogliere l'imputata per assenza della querela.
La sentenza oggetto del ricorso ha affrontato la questione della modifica dell'accusa da parte del pubblico ministero, concludendo nel senso che il potere del PM presuppone l'esistenza effettiva di un processo in corso. Nel caso in esame, alla data dell'udienza, il processo non era più in corso a causa dell'assenza delle condizioni di procedibilità dovute alla mancanza della querela. La sentenza ha basato la sua decisione sull'idea che la querela abbia una natura sostanziale e che, dopo che il termine di tre mesi per la sua presentazione sia scaduto, il reato e il processo diventino due entità separate. Di conseguenza, il reato risulta privo delle condizioni di procedibilità, indipendentemente da qualsiasi ulteriore accertamento possibile durante il procedimento giudiziario.
La Corte di Cassazione ha preso una posizione diversa da quella appena esposta e ha invece sottolineato la legittimità della scelta del pubblico ministero di contestare un'aggravante durante la prima udienza del procedimento. Nel caso in questione, l'aggravante riguardava il furto di beni destinati al servizio pubblico e tale contestazione ha reso di nuovo perseguibile l'atto criminoso senza richiedere una querela.
La Corte ha affermato che una volta riconosciuto che, nel sistema giuridico italiano, il pubblico ministero ha il potere di modificare l'accusa, non è accettabile limitare questo potere a causa dei cambiamenti nelle condizioni di procedibilità. L'articolo 517 del Codice di procedura penale, che disciplina la possibilità di contestare all’imputato una circostanza aggravante durante il procedimento dibattimentale, non impone alcun tipo di restrizione al potere e al dovere del pubblico ministero di apportare tali modifiche all'accusa.
Inoltre, è importante notare che la Corte di Cassazione ha già affermato in passato che sarebbe anomalo se un giudice vietasse al pubblico ministero, che è l'unico responsabile dell'azione penale, di apportare modifiche all'accusa attraverso la contestazione di reati concorrenti o di circostanze aggravanti. Inoltre, la Cassazione ha ricordato che è consentita la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che non era prevista nel decreto che istituiva il procedimento, anche quando questa contestazione si basa su elementi già noti durante le fasi delle indagini preliminari.
Di conseguenza, la Cassazione ha stabilito il principio di diritto secondo il quale, in un caso di giudizio riguardante un reato di furto aggravato, anche se è trascorso il periodo in cui sarebbe stato possibile presentare una querela e non ci sono nuovi elementi emersi nel corso del procedimento, il pubblico ministero durante l'udienza può apportare modifiche all’imputazione, contestando una circostanza aggravante aggiuntiva che rende il reato perseguibile d'ufficio.
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