Un giustizia negoziata

Un giustizia negoziata

  • Filippo Ferri

Come in altri paesi del mondo, si chiede anche in Italia l’introduzione di una causa di non punibilità o archiviazione dell’azione penale per quelle società che collaborano con la procura
Negli ultimi anni si è assistito,
 a livello internazionale, al progressivo aumento di forme di  giustizia penale “negoziata”. Con questa espressione, si è soliti fare riferimento alla introduzione, all’interno dell’ordinamento giuridico di un determinato Paese, di strumenti processuali tali da determinare l’arresto o la definizione di un procedimento penale, se e nella misura in cui la pubblica autorità raggiunge un accordo, dal contenuto più o meno articolato, con la parte privata interessata dal procedimento stesso. Si tratta di un vero e proprio fenomeno di “privatizzazione” o “contrattualizzazione” della giustizia penale. In questa prospettiva, gli Stati Uniti svolgono un ruolo di precursori, avendo ormai da tempo introdotto ed applicato specifici accordi tra il Department of Justice e le imprese oggetto di indagine.

Si tratta dei non prosecution agreement (Npa) ovvero dei deferred prosecution agreement (Dpa),dei veri e propri “contratti” tra autorità pubblica e impresa privata, in forza dei quali la prima rinuncia o sospende l’esercizio dell’azione penale nei confronti della società investigata, a fronte dell’impegno, da parte di quest’ultima, a porre in essere tutta una serie di iniziative “rimediali” rispetto ai fatti oggetto di indagine. Il risultato, in ogni caso, è sempre quello di evitare conseguenze giudiziarie penali, con
i costi, rischi e danni, anche reputazionali, che ciò può comportare.


In Italia, attualmente, non esiste nulla di tutto ciò. Istituti come quelli che abbiamo appena menzionato (Npa e Dpa) sono
tipica espressione di sistemi giuridici imperniati sul principio della discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale da parte
del pubblico ministero. Sistemi in cui, in
altre parole, la procura ha il potere (anzi, il dovere) di svolgere valutazioni di politica criminale nel decidere se portare a giudizio determinate ipotesi di reato o meno.
L’Italia è, al contrario, da sempre esempio paradigmatico di sistema imperniato sul principio della obbligatorietà dell’azione penale, da molti considerato sbarramento assoluto rispetto a strumenti di giustizia “negoziata”. Principio, quest’ultimo, scolpito nell’art. 112 della Costituzione e ritenuto, allo stesso tempo espressione e garanzia di altri principi-cardine della nostra carta fondamentale, come il principio di legalità, il principio di uguaglianza e quello di indipendenza della magistratura.


È allora impossibile che istituti analoghi a quelli nati nel mondo americano facciano
il loro ingresso anche nel sistema italiano? Forse no. E il discorso interessa non tanto le persone fisiche, quanto le persone giuridiche. La responsabilità “da reato” delle società è disciplinata dal D.Lgs. 231/2001, all’interno del quale potrebbe esserci lo spazio per riformare il nostro sistema giuridico. Le ragioni sono molteplici. Anzitutto, non vi è alcun dubbio che la responsabilità delle società, ai sensi del “decreto 231”, non sia affatto sovrapponibile alla responsabilità penale “vera e propria” delle persone fisiche. In questo senso, la Corte di cassazione ha più volte affermato che si tratta di un vero e proprio tertium genus, che combina tratti di responsabilità penale
e di responsabilità amministrativa. Dunque, siamo nell’ambito di una responsabilità diversa da quella cui storicamente si riferiva l’art. 112 Cost. Ancora, la scelta di archiviare il procedimento da parte del pubblico ministero è sottratta a qualunque controllo giurisdizionale.

Dunque, la scelta del Pm di non procedere è sottratta al controllo
di un giudice terzo. Ecco, secondo noi, allora tracciato un pertugio, uno spazio
– costituzionalmente legittimo – in cui provare a inserire un primo strumento di giustizia penale negoziata. Quello che, tanto in dottrina, ma anche in magistratura, si comincia a chiedere con insistenza al legislatore: l’introduzione di una vera e propria causa di non punibilità, ovvero di una specifica ipotesi di archiviazione del procedimento, per la società che fattivamente collabori con la procura e si adoperi in chiave rimediale, sulla falsa riga di quanto già accade in sempre più Paesi (Regno Unito e Francia, ad esempio). Sarebbe una rivoluzione epocale.

Articolo pubblicato sul magazine "Forbes", gennaio 2023
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